Diario del Tirocinante in Psicologia: Giuseppina
Diario del Tirocinante in Psicologia: Giuseppina

Questo è il “DIARIO di BORDO” dell’esperienza di Tirocinio post- lauream svolta dai Laureati in Psicologia presso il  CENTRO STUDI KAIROS Psicologia, Psicoterapia e Cultura sistemica di Napoli.

I nostri tirocinanti fanno con noi un’esperienza completa e di profondo collegamento al lavoro clinico.

Lo strumento dello specchio unidirezionale diventa, per usare un loro temine, una “incubatrice”, dove ascoltare il ritmo del cuore, osservare  pensieri, catturare gesti importanti.

I tirocinanti  muovono i primi passi ed è bello tenerli per mano,  trasferirgli la passione per il nostro lavoro, fermarci a riflettere assieme, ascoltare la loro voce, lavorare avvolti da un entusiasmo sano e creativo.

Soprattutto è importante fare assieme a loro un’esperienza di lavoro di équipe, condividere aspetti teorici e tecnici del nostro lavoro, sentendoci tutti (Tutor, tirocinanti, pazienti) parte di uno stesso processo in maniera integrata, autentica, intenzionale.

Ed ora lasciamo a loro la parola:

Dietro lo specchio: uno, nessuno o centomila?

Il ruolo dell’osservatore nella cultura sistemica, la mia esperienza da non addetta ai lavori.

 Una, nessuna e centomila sono le emozioni provate; uno, nessuno e centomila erano le persone con me dietro lo specchio e anche quelle davanti; uno, nessuno e centomila le possibilità infinite di osservare la realtà; uno, nessuno e centomila i modi in cui la realtà cambia solo osservandola.

Guardare non è facile, osservare men che meno.

La prima volta che mi sono trovata in una stanza di osservazione, dietro lo specchio, ero sola. Avevo la sensazione che il mistero di quello che accade nella “stanza dello Psicologo”  mi stesse per essere rivelato, era la mia prima volta, una sorta di iniziazione, fremevo dalla contentezza di sapere in che modo il Dottore li avrebbe accolti, li avrebbe ascoltati, aiutati, perfino guardati. Mi sentivo esattamente come quando al cinema si stanno per spegnere le luci, si apre il sipario e inizia lo spettacolo.

A spingermi la necessità di osservare, scoprire, toccare con mano ogni cosa studiata….davvero il setting è così importante? Davvero lo psicologo-psicoterapeuta  non ride? Quando farà la grande interpretazione che scioglierà il caso?

Ecco, quella ero io un anno fa, non che oggi sia più matura ma mi sono resa conto che col passare del tempo ogni mese mi sorprendeva diversa, sempre nella stessa stanza, a volte in compagnia di altre tirocinanti, altre volte ancora sola.

Avevo ancora l’euforia dei primi giorni, la voglia impellente di osservare  nuovi colloqui e situazioni differenti, capire quanti mezzi effettivamente avesse lo psicologo ma certo non stavo ancora osservando, guardavo da spettatrice pensando di imparare per imitazione.

Il primo autunno ero quasi stanca, a volte sbadigliavo, non sapevo cosa cogliere, cosa guardare, prendere appunti? Ascoltare le proprie emozioni? Forse le loro? Mi sono perfino ritrovata a dare un nome a quella stanza sempre buia “l’incubatrice” forse perché mi sembrava un mondo a parte, lento, silenzioso per forza, ma inevitabilmente i cambiamenti si avvertivano ed erano piccoli e graduali, i miei cambiamenti.

Per qualche tempo guardavo, prendevo senza restituire, rubavo emozioni, vissuti, esperienze, rubavo frasi, interpretazioni, i modi di fare del tutor, le movenze. Li portavo su di me, li forzavo, consapevole che non mi appartenevano e certamente, come abiti non tuoi, non mi stavano bene. Lezione numero uno: ognuno ha la propria arte, ognuno a suo modo, ogni cosa ha un suo tempo e la pazienza è davvero la virtù dei forti.

La prima volta che mi sentii realmente presente nella stanza fu quando osservai l’elaborazione di un lutto, quel pomeriggio ero con un’altra tirocinante dietro lo specchio, le emozioni arrivarono a galla nel giro di due minuti e pensai che, forse, fosse il caso di uscire.

Rimasi seduta. Capii che probabilmente stavo per imparare la lezione numero due, quello che non sempre insegnano all’Università. Le emozioni dei pazienti o dei clienti, in qualsiasi modo li si voglia chiamare, ti cercano, ti trovano, scavano dentro di te e se non sei pronto ti feriscono perché in alcuni casi, in alcuni vissuti trovano terreno fertile per adagiarsi; ignorarle non è la soluzione, lasciarsi dominare nemmeno ma riconoscerle è un primo passo, un passo non facile perché prendere consapevolezza di un’emozione, saperla localizzare dentro di sé non è proprio la prima cosa che ci insegnano da bambini e neanche all’università per dirla tutto. S’impara a farlo da soli se qualcuno ha la bontà di guidarci e di fornirci i mezzi giusti. Riconoscere che osservare è essere osservati, permetterà di comprendere quanto accade in terapia, forse a dare una svolta, e se non altro ad indicare la direzione da  prendere.

 

Dott.ssa Giuseppina De Cristofaro

giuseppinadecristofaro93@gmail.com