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Diario del Tirocinante in Psicologia: Martina
Questo è il “DIARIO di BORDO” dell’esperienza di Tirocinio post- lauream svolta dai Laureati in Psicologia presso il CENTRO STUDI KAIROS Psicologia, Psicoterapia e Cultura sistemica di Napoli.
I nostri tirocinanti fanno con noi un’esperienza completa e di profondo collegamento al lavoro clinico.
Lo strumento dello specchio unidirezionale diventa, per usare un loro temine, una “incubatrice”, dove ascoltare il ritmo del cuore, osservare pensieri, catturare gesti importanti.
I tirocinanti muovono i primi passi ed è bello tenerli per mano, trasferirgli la passione per il nostro lavoro, fermarci a riflettere assieme, ascoltare la loro voce, lavorare avvolti da un entusiasmo sano e creativo.
Soprattutto è importante fare assieme a loro un’esperienza di lavoro di équipe, condividere aspetti teorici e tecnici del nostro lavoro, sentendoci tutti (Tutor, tirocinanti, pazienti) parte di uno stesso processo in maniera integrata, autentica, intenzionale.
Ed ora lasciamo a loro la parola:
Incontrare l’Altro … riconoscere se stessi. L’esperienza di osservazione al Centro Kairos
Nella storia del pensiero la metafora dello specchio ha sempre affascinato molti, proprio perché lo specchio è in grado di catturare una parte del mondo per restituirla, includendovi in essa lo spettatore stesso. E in effetti è proprio questo il fascino delle esperienze di osservazione al centro Kairos: dietro lo specchio, l’occhio dell’osservatore riesce a catturare quella se pur piccola parte di mondo che ogni persona porta nella stanza di psicoterapia, ma inevitabilmente tutto questo lo condurrà a guardare anche a sè, a quei pensieri, quelle emozioni, quei ricordi o quelle sensazioni che l’Altro in maniera più o meno cosciente gli rimanda.
L’immagine che lo specchio riflette è quindi in tal senso in grado di includere anche l’osservatore: guardare l’Altro diventa anche guardare se stessi. Tutto questo rende l’osservazione un’occasione di crescita personale e professionale: mettere insieme pezzi di storia del paziente per costruire la trama narrativa della sua vita; attraversare il mare delle emozioni con cui il paziente ci inonda; essere testimoni di un processo di cambiamento dell’Altro, dei suoi stati d’animo, dei suoi pensieri, delle sue paure o attese, che passa per lo sviluppo di una relazione terapeutica autentica, di amore e cura, nel vero senso del “prendersi cura”.
Osservare, che sia un individuo, una coppia o una famiglia, significa sempre scoprire la bellezza della fragilità, l’umanità delle imperfezioni, l’universalità del dolore, o ancora è cogliere la forza della speranza, sentire la spinta del desiderio, intuire come fare di un legame una risorsa trasformativa.
La parete che ci separa dalla stanza di terapia non ostacola il contatto con queste “anime nude”, lo specchio che ci fa sentire in parte protetti, non ci impedisce di sentire vicinanza, inquietudine, rassicurazione o confusione, e tutto questo è un esperienza, che sebbene talvolta destabilizzante, ti attraversa visceralmente creando dentro un movimento che spinge a nuove riflessioni, interrogativi o insight.
E’ in questo movimento, nel nostro saper sentire con gli occhi che riusciamo a vedere noi stessi attraverso l’Altro, imparando a non confonderci completamente con chi osserviamo, ma solo in parte per poter accogliere nella nostra mente le sue emozioni, coglierle, sentirle senza lasciarci soppiantare da esse. D’altra parte, questo difficile equilibrio da raggiungere tra un contatto empatico e una distanza produttiva è tra le più importanti competenze dello psicologo che l’esperienza di osservazione riesce ad allenare.
A tutto ciò, l’approccio sistemico aggiunge un maggior grado di complessità per l’osservatore, una complessità che tuttavia può offrire un’importante chiave di lettura dell’esperienza d’osservazione, grazie alla quale riuscire a cogliere sensibilmente forze e resistenze del sistema osservato, iniziando ad ipotizzare quali possibili risorse possono essere mobilitate per innescare un potenziale cambiamento.
Più nello specifico, osservare adottando una prospettiva sistemica significa imparare a guardare le cose nella loro connessione: lasciarsi ora attivare da una frase pronunciata, ora da un’emozione intensamente espressa o celata, oppure da una creativa iniziativa dei terapeuti che smuove inaspettatamente equilibri cristallizzati, senza mai isolare l’uno o l’altro aspetto in grado di catturare la nostra attenzione, ma al contrario tenendo insieme tutto questo, costruendo nessi e provando a cambiare di volta in volta la prospettiva d’analisi.
Così, lasciandosi guidare dalle proprie più ingenue intuizioni, ma anche dal confronto con gli altri osservatori, e soprattutto dal dialogo chiarificatore con i terapeuti esperti e con le teorie di riferimento, è possibile aggiungere ogni volta un altro tassello a quel puzzle che ogni persona, famiglia o coppia osservata va delineando nella nostra mente, avendo la capacità di cambiare, provare e riprovare nuove possibilità di incastro.
La combinazione più funzionale potrà essere generatrice di un “nuovo tutto”, che ci pone più chiaramente di fronte l’intero sistema, quel sistema fatto: dalle persone presenti in terapia, con il loro corpo, i loro gesti e comportamenti, le loro voci e i loro silenzi; dalle emozioni che provano e quelle che non riescono a provare; dai loro ricordi o pensieri; dai loro sintomi, paure o fantasmi; dalla loro relazione, e dal legame con quelle persone che pur nella loro assenza fanno sentire tutta la loro presenza nella stanza di terapia; e ancora dalla profonda relazione terapeutica che va consolidandosi nel tempo, ma anche dalla relazione che coltiviamo nella nostra mente di osservatore con quell’uomo o quella donna, quel ragazzo o quella ragazza, quella coppia o famiglia osservati, incontrati.
In effetti, al Centro Kairos si impara ad osservare le cose un po’ come da un aereo in fase di decollo: muovendosi prima a bassa quota, si possono vedere i dettagli più microscopici delle persone come singoli individui, poi prendendo gradualmente quota, si inizia a guardare ai legami, alle dinamiche relazionali, ai contesti e poi ancora alle forze contrapposte o sinergiche del sistema, fino ad ottenere una visione macroscopica e globale nella quale includervi la relazione terapeutica ed anche se stesso come osservatore; una visione globale che tuttavia non sarà mai definitiva, perché si arricchirà sempre di nuovi dettagli ogni volta che si ritorna a volare più in basso per poi risalire.
Talvolta è utile, se non indispensabile, per incontrare davvero l’Altro, volare tanto in basso fino a raggiungere noi stessi, per conoscerci e riconoscerci di fronte all’Altro, esplorando le sensazioni che l’osservazione risuona in noi, senza lasciarci però dirottare da tutto questo sentire, senza confondersi con l’Altro, ma ponendoci domande, mettendoci in discussione, così da poter rintracciare nella nostra umanità quella spinta che, insieme alle ali della passione, dello studio e dell’esperienza, ci sostenga in questo entusiasmante volo.
Dott.ssa Martina Gambardella
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