Diario del tirocinante in Psicologia: Fabrizio
Diario del tirocinante in Psicologia: Fabrizio

Questo è il “DIARIO di BORDO” dell’esperienza di Tirocinio post- lauream svolta dai Laureati in Psicologia presso il CENTRO STUDI KAIROS Psicologia, Psicoterapia e Cultura sistemica di Napoli.

Nell’approccio sistemico, alcuni colloqui, previo consenso dei pazienti, vengono seguiti da un’Equipe (costituita da Psicologi e Psicoterapeuti) che partecipa alla seduta aldilà di uno specchio unidirezionale.

I nostri tirocinanti fanno parte di questa Equipe e partecipano ad un’esperienza  di profondo collegamento al lavoro clinico.

Lo strumento dello “specchio unidirezionale” diventa per il giovane professionista uno strumento di apprendimento e (per usare un loro termine) una “incubatrice”, dove ascoltare il ritmo del cuore, osservare pensieri e catturare gesti importanti.

I tirocinanti muovono i primi passi ed è bello tenerli per mano, trasferirgli la passione per il nostro lavoro, fermarci a riflettere assieme, ascoltare la loro voce, lavorare avvolti da un entusiasmo sano e creativo.

Soprattutto è importante fare assieme a loro un’esperienza di lavoro di équipe, condividere aspetti teorici e tecnici del nostro lavoro, sentendoci tutti (psicologi, tirocinanti, pazienti) parte di uno stesso processo di cambiamento in maniera integrata, autentica, intenzionale.

Ed ora lasciamo a loro la parola: questo è il diario di Fabrizio

All’inizio di questo percorso mi era del tutto nuova la disciplina sistemico-relazionale. Non ne avevo mai fatto alcun tipo di esperienza se non attraverso le fredde teorie dei libri universitari. La prima rivelazione mi è arrivata all’open day della struttura, durante il quale ho assistito ad una terapia videoregistrata. Nonostante la visione di un filmato non renda giustizia all’esperienza diretta, andando a sottrarre diverse sensazioni, percezioni, feedback e dettagli, sono rimasto comunque affascinato da questo tipo di lavoro che pone le sue attenzioni non sul singolo individuo, ma sul suo insieme di relazioni (familiari e non). Un sistema, appunto, nel quale la modifica di un solo elemento basta a generare un insieme di cambiamenti che vanno ad alterare la struttura del sistema stesso . Si opera così un processo che spinge verso il cambiamento, il movimento e il miglioramento laddove il contesto soffre di un immobilismo cronico.

Osservando questo processo la prima frase che mi viene in mente è “nessun uomo è un’isola”, ed è proprio così, nessuno può farcela da solo. Questa è una delle prime cose che ho imparato da tale approccio: se si vuole aiutare un soggetto a migliorare sé stesso e ad uscire dalla propria sofferenza sarà necessario, o almeno utile, agire anche sul suo contesto di riferimento affinché ci siano degli scambi costruttivi e importanti. Tutto ciò al fine di creare un ambiente che sia più sereno dal punto di vista umano e comunicativo. Riflessione molto utile anche per il sottoscritto che da sempre ha pensato di risolvere i propri problemi da solo, dimenticando l’importanza di chiedere aiuto alle persone di riferimento e sottovalutando troppo spesso l’influenza dell’ambiente.

Ho compreso molte più cose dal momento in cui ho iniziato ad assistere alle terapie dal vivo. Lo specchio ha un effetto unico e particolare sull’osservatore: sentiamo d’esser visti anche se non siamo visti, sentiamo di essere presenti nella stanza con il terapeuta e i pazienti anche se non lo siamo, abbiamo la percezione che ogni nostra azione, in un modo o nell’altro possa modificare il setting.

Inoltre, il citato specchio non ci protegge minimamente dalle emozioni del soggetto che arrivano fino a noi e diventano “nostre” che ci piaccia o no. Ci caricano, a volte ci appesantiscono, altre volte ci alleggeriscono facendoci capire qualcosa su noi stessi e alla fine allargano sempre il nostro bagaglio di conoscenza, rendendoci più empatici. Capita di affezionarsi alle persone osservate, magari anche per tutto il tempo trascorso ad ascoltarle, e non di rado rimaniamo stupiti quando scopriamo qualcosa in più su di loro, qualcosa che non avremmo mai pensato fino a quell’incontro e che ci fa capire quanto possa essere complesso l’essere umano, e quanto spesso nella nostra società facciamo l’errore di affrettarci nel dare giudizi.

Ho imparato anche che alcune emozioni del paziente hanno un impatto “fisico” su di noi, andando a trovare collocazione nel nostro corpo e manifestandosi in maniera più o meno esplicita. Qualche volta mi è capitato di provare sensazioni di nervosismo o fastidio, che non sono sempre piacevoli, ma sono fondamentali per comprendere noi stessi e prepararci al lavoro all’interno del setting. Allora tali sensazioni non dovranno più rappresentare una minaccia o un fastidio da evitare, bensì un utilissimo feedback e potente alleato!
Ci sono ancora molte cose che voglio osservare e capire da questo tipo di lavoro, specialmente per quanto riguarda il distacco dall’oggetto osservato, ma l’idea che il setting diventi di volta in volta il luogo in cui apprendere qualcosa di nuovo sulle relazioni, sugli esseri umani e su sé stessi può solo rendere giustizia a ciò che viene inteso con la parola “formazione”.

Dott. Fabrizio Liguori

fabrizio.liguori91@gmail.com