LA CONQUISTA DELLA GIUSTA DISTANZA: VICINI MA NON TROPPO
LA CONQUISTA DELLA GIUSTA DISTANZA: VICINI MA NON TROPPO

La famiglia secondo l’ottica sistemico-relazionale

La struttura familiare è l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono” (Minuchin, 1974).

La famiglia è un’organizzazione complessa di relazioni di parentela che ha una sua storia e che crea storia. La crescita di tale organizzazione è legata all’effettivo superamento di eventi critici che si accompagnano ai “compiti di sviluppo” e ai processi messi in moto dalla famiglia nei momenti di transizione per effettuare un’efficace riorganizzazione. A questo proposito, l’approccio sistemico relazionale (Minuchin, 1974; Andolfi et al., 1989) si basa sul modello del ciclo vitale della famiglia, ovvero un modello teorico secondo il quale l’evoluzione della famiglia è definita un processo dinamico caratterizzato da determinati stadi di sviluppo (per approfondimenti vedi https://www.centrostudikairos.it/2023/02/16/ricomincio-da-tre/), aventi carattere universale e contrassegnati da eventi specifici (quali nascite e morti, separazioni etc.) che sono fenomeni attesi in ogni famiglia. Possiamo distinguere sei essenziali momenti di transizione:

  1. La separazione dalla famiglia di origine e la prima età adulta
  2. La formazione di una nuova coppia
  3. La famiglia con bambini piccoli
  4. La famiglia con figli adolescenti
  5. L’uscita dei figli da casa e la riorganizzazione della coppia genitoriale
  6. La fase dell’invecchiamento dei genitori, la presenza di nipoti, la morte di uno dei due partner

In ogni fase del ciclo vitale la famiglia ha una sua identità organizzativa, una sua struttura e un suo stile di funzionamento. Ciò accade perché, nonostante queste fasi critiche nella vita di una famiglia siano inerenti all’evoluzione naturale del sistema (ad esempio, matrimonio, nascita dei figli e crescita) e per tale motivo chiamati “eventi normativi” (Terkelsen, 1980; Carter e McGoldrick, 1980), non rappresentano transizioni facili. Invece, si definiscono “eventi paranormativi” quegli eventi non prevedibili, inattesi e improvvisi (ad esempio, malattie, morti premature e inaspettate e perdita del lavoro). Pertanto, la capacità della famiglia di far fronte a tali eventi, utilizzando le sue risorse di adattamento attivo e organizzato (coping), può essere diverso da famiglia a famiglia o all’interno di culture e contesti differenti. L’utilità del modello del ciclo di vita consiste non tanto nell’identificare la fase in cui si trova la famiglia nel qui ed ora, ma nel poter osservare come viene affrontato il cambiamento e la riorganizzazione da una fase ad un’altra. Infatti, alcune di queste transizioni possono causare disagio e stress in alcune persone o nell’intera famiglia. Alcune famiglie avranno maggiori risorse e competenze per far fronte a periodi evolutivi critici, altre invece avvertiranno ogni cambiamento come un potenziale pericolo e avranno difficoltà ad affrontarlo. Tuttavia, è necessario sottolineare che la riorganizzazione richiesta nel passaggio da una fase evolutiva ad un’altra non è mai un salto nel vuoto, ma le generazioni precedenti hanno già affrontato gli stessi passaggi evolutivi e l’hanno fatto secondo modelli ricorrenti di rapporti multigenerazionali che si tramandano nel tempo, da una generazione all’altra.

L’importanza dei confini

Ogni membro del sistema familiare appartiene a una precisa generazione e a diversi sottosistemi, tra i quali vi sono dei confini che determinano il ruolo al quale deve adempiere un individuo all’interno della relazione. Rispetto ai sottosistemi, in ogni famiglia nucleare, è possibile individuarne principalmente tre:

  1. Sottosistema coniugale: riguarda la relazione tra i coniugi e le funzioni di scambio e sostegno emotivo-affettivo coniugale;
  2. Sottosistema genitoriale: ha a che fare con la funzione parentale che riguarda l’impegno di coppia sul versante dell’accudimento e dell’educazione dei figli;
  3. Sottosistema dei fratelli: permette ai figli di sperimentarsi nelle relazioni tra i pari (negoziare, cooperare, competere).

I confini svolgono, quindi, la funzione fondamentale di differenziare i sottosistemi rispetto a funzioni e ruoli all’interno del nucleo familiare. Pertanto, confini chiari e solidi proteggono da ingiuste interferenze, ma un certo grado di flessibilità è necessario per permettere un riassestamento quando le situazioni cambiano. In particolare, i confini possono essere collocati lungo un continuum: rigidi, chiari e diffusi; ad essi corrispondono rispettivamente famiglie disimpegnate, da funzionamento “normale” o invischiate (vedi schema a fondo pagina). Nel caso di famiglie con confini rigidi, i sottosistemi sono eccessivamente separati fra loro, tanto che la comunicazione risulta difficile. Ciò significa che, se un membro incontra problemi in una fase del suo ciclo di vita e non trova sostegno e conforto negli altri, può manifestare o amplificare un sintomo perché la sua sofferenza sia notata (famiglie disimpegnate). La situazione delle famiglie con confini diffusi è totalmente opposta: i confini sono molto labili e la differenziazione scompare per cui è assente un grado di riservatezza (famiglie invischiate). In ultima analisi, in presenza di confini chiari e definiti, i membri del sottosistema esercitano le proprie funzioni con un alto grado di autonomia e, allo stesso tempo, restano connessi gli uni agli altri (famiglia funzionale).

 

La costruzione di confini sani è quindi fondamentale per l’equilibrio del sistema famiglia. Nel caso in cui i confini siano troppo labili, come già accennato, si parla di famiglia invischiata, in cui il comportamento del singolo si riflette istantaneamente su quello degli altri. In questi casi, non esiste una distanza tra i membri, un confine sano che permetta ad ogni membro di avere un proprio spazio personale.

Ciò che si verifica in questi casi è un ipercoinvolgimento tra i membri per cui ognuno diviene giudicante rispetto a pensieri, sentimenti e decisioni degli altri. Il senso di appartenenza alla famiglia supera quello di identità personale per cui ogni separazione diventa un tradimento: l’invischiamento può bloccare l’esplorazione e lo sviluppo cognitivo e affettivo. In questo scenario esiste il rischio che un membro della famiglia, spesso un figlio, sviluppi un sintomo psicopatologico che impedisce il raggiungimento dell’autonomia del singolo. Un esempio di psicopatologia presente nei modelli fortemente invischianti è il disturbo del comportamento alimentare, tra cui l’anoressia nella quale il soggetto, attraverso la perdita di peso, ricerca un illusorio sistema di realizzazione personale e di autovalutazione (per approfondimenti vedi “Anoressia

All’opposto, i confini troppo rigidi caratterizzano la famiglia “disimpegnata”: rispetto alla famiglia invischiata dove le tensioni transitano facilmente tra i sottosistemi, nel caso di confini rigidi questo non accade e ciò ha come grave conseguenza l’assenza di vicinanza tra i membri del sistema familiare. Le richieste di aiuto e sostegno restano inascoltate e manca un reale senso di appartenenza. La maggior parte delle famiglie presenta caratteristiche di entrambe le tipologie, che si alternano e modificano nel tempo.

In conclusione, risulta utile riprendere Minuchin, secondo cui una famiglia che funziona bene presenta confini tra le generazioni e attorno alla famiglia nucleare che sono ben definiti e funzionalmente flessibili. Inoltre, un sistema funzionale e armonico a livello intergenerazionale è quello in cui ciascun individuo compie il ruolo assegnato dal suo momento evolutivo. Inoltre, la presenza di un confine, di una distinzione tra i piani generazionali, deve essere anche tenuta presente nella stanza di terapia. Infatti, è necessario valutare se il bilanciamento tra appartenenza e separazione permette ai tre piani (la famiglia di origine, la coppia, i figli) di rimanere ben distinti.

Dalla famiglia all’individuo: separazione e individuazione

Uno degli autori che ha affrontato maggiormente il complesso processo di separazione-individuazione è stato Murray Bowen (1913-1990), psichiatra e psicoanalista americano, noto per il suo contributo alla teoria dei sistemi familiari e per lo sviluppo dell’approccio terapeutico noto come “terapia familiare multigenerazionale”.

All’interno della sua teoria risulta centrale il concetto di “differenziazione del sé”, ovvero il processo attraverso il quale l’individuo costruisce gradualmente la propria identità, cercando un equilibrio tra il senso di appartenenza alla propria famiglia e l’indipendenza emotiva per riuscire a sviluppare la propria identità. E’ necessario quindi che il soggetto si separi dal nucleo familiare per raggiungere una propria autonomia, senza mai dimenticare le sue radici, mantenendo con i propri familiari un legame significativo. Riprendendo le parole dell’autore, questo risulta chiaro, infatti scriveva:

Il concetto della differenziazione del sé ha a che fare con la misura in cui una persona diviene emotivamente differenziata dal genitore” (Bowen,1979)

Nel contesto della sua teoria sulla separazione-individuazione, è necessario riferirsi al concetto di “massa indifferenziata dell’io familiare“. La massa indifferenziata dell’io è un’identità emotiva conglomerata che caratterizza ogni famiglia con varia intensità e a vari livelli. Questa massa influisce sul coinvolgimento di ciascun membro e determina le possibilità di svincolo e differenziazione del sé. La massa indifferenziata, agglomerato indistinto di individui non separati, può manifestarsi in varie modalità: da fasi normali di vicinanza tra i membri che possono trasformarsi in eccessiva prossimità, fino ad arrivare alla fusione tra questi ultimi.

L’indifferenziazione si manifesta nelle relazioni all’interno del nucleo familiare ma le forze emotive provenienti anche dall’ambiente esterno, giocano un ruolo significativo nell’influenzare la differenziazione individuale rispetto alla massa familiare, permettendo la costruzione di un identità propria, differenziata dalla famiglia. I soggetti che riescono a differenziarsi, possono raggiungere alti livelli di funzionamento, investendo in attività orientate verso il sé, rispettando principi e valori personali.

Per Bowen, il processo di accudimento all’interno del sistema-famiglia, influenza il modo in cui noi, dopo essere usciti ed esserci differenziati dal nucleo, trattiamo gli altri e il modo in cui viviamo le relazioni. In una famiglia emotivamente equilibrata, ogni membro contribuisce al benessere degli altri donando una parte di sé. Al contrario, in una famiglia con difficoltà di regolazione emotiva, l’intera famiglia agisce inconsapevolmente nel tentativo di ristabilire l’equilibrio perduto. Questo accade perché, concretamente, quando un individuo cerca di differenziarsi, perturba l’equilibrio familiare e quindi attiva le forze interne della famiglia che deve riorganizzarsi.

Rispetto al tema della differenziazione, Williamson (1991) definisce il processo di emancipazione, che porterà gli individui a costruire nuove forme di rapporti genitoriali, come “la conquista dell’autorità personale”. Tale processo, secondo l’autore, avviene solo intorno ai 35/40 anni e permette la costruzione della propria identità da parte dei figli, a partire dalla conquista di un’indipendenza dalle figure genitoriali. Affinché ciò avvenga, i figli devono mettere fine all’intimidazione intergenerazionale, in modo tale che i genitori non esercitino più la loro influenza e il loro potere come le si eserciterebbero su di un figlio bambino/adolescente, permettendogli di diventare autonomo.

Arrivati a questo punto, è naturale domandarsi quale siano gli esiti del processo di separazione – individuazione.

L’esito positivo è definito da Bowen (1975) come l’acquisizione della Posizione-Io. Per raggiungere tale condizione è necessaria un’elaborazione delle dinamiche del proprio sistema familiare, dei traumi e dei conflitti ancora aperti. L’impossibilità a raggiungere tale posizione adulta porterà invece alla condizione di “figlio cronico” (Andolfi, Falcucci, Mascellani et al. 2006, 2007). Tale esito negativo si presenta come una condizione in cui l’adulto non è riuscito a conquistare l’indipendenza emotiva dalle figure genitoriali (o da altre figure familiari) e quindi a porre fine all’intimidazione intergenerazionale. I limiti gerarchici non vengono superati, non si raggiunge il giusto equilibrio tra figli adulti e genitori, i figli non riescono a “prendere una posizione”. Per non incorrere in un esito negativo, appartenenza e separazione devono trovare un giusto equilibro. Se è vero che l’appartenenza ha bisogno della separazione per non restare incastrati in legami fusionali con la famiglia d’origine, è anche vero che la separazione senza appartenenza rischia di causare quello che viene definito taglio emotivo, ovvero un distacco dalla famiglia senza risoluzione dei conflitti o dei traumi familiari. Resta “il sospeso”, quello che viene allontanato ma non risolto; che, inevitabilmente, rischierà di ripetersi in altre relazioni affettive future.

In conclusione, è possibile affermare che nonostante il processo di separazione dal proprio sistema familiare sia estremamente complesso, risulta necessario per lo sviluppo di una propria identità personale. In questo lungo processo che inizia nell’adolescenza, la famiglia può aiutare il singolo nella ricerca di un giusto equilibrio tra il senso appartenenza e la conquista di un’autonomia personale.

BIBLIOGRAFIA

Andolfi, M., (2015), “La terapia familiare multigenerazionale; strumenti e risorse del terapeuta”, Milano, Raffaello Cortina Editore, pp. 33-48. 

Andolfi, M., Angelo, C., De Nichilo, M. (1989), The Myth of Atlas: Families and the Therapeutic Story. Brunner/Mazel, New York.

Andolfi, M., Falcucci, M., Mascellani, A., Santona, A., Sciamplicotti, F. (2006) (A cura di), La terapia di coppia in una prospettiva trigenerazionale. APF, Roma. 

Andolfi, M., Falcucci, M., Mascellani, A., Santona, A., Sciamplicotti, F. (2007) (A cura di), Il bambino come risorsa nella terapia familiare. APF, Roma. 

Boszormenyi-Nagy, I., & Spark, G. M. (1973). Invisible Loyalties: Reciprocity in Intergenerational Family Therapy. Harper & Row, Inc

Bowen, M. (1975), Family Therapy after 20 Years. American Handbook of Psychiatry. Basic Book, New York.

Bowen, M., (1979) Dalla famiglia all’individuo, Astrolabio, Ubaldini, Roma.

Carter, E. A., McGoldrick, M. (1980), The Family Life Cycle: A Framework for Family Therapy. Gardner Press, New York

Minuchin, S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia. Tr. it. Astrolabio, Roma 1976.

Terkelsen, K.G. (1980), “Toward a theory of the family life cycle”. In Carter, E.A., McGoldrick, M., The Family Life Cycle: A Framework for Family The-rapy. Gardner Press, New York.

Williamson, S.D. (1991), The Intimacy Paradox. Guilford Press, New York

 

SITOGRAFIA

L’organizzazione della famiglia. Studio di psicologia, psicoterapia, analisi bioenergetica, consulenza di coppia e mediazione familiare a Milano (mediazionefamiliaremilano.it)

I confini nella famiglia: perché sono così importanti per la salute psicologica? – CentroPagina

Psicoterapia sistemico relazionale: le caratteristiche e i precursori (stateofmind.it)

https://federicoambrosetti.it/onewebmedia/La%20triangolazione%20-%20Federico%20Ambrosetti.pdf 

La differenziazione del sè ed il processo di individuazione: un parallelo concettuale tra Bowen e Jung. (linkedin.com)

 

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