L’alleanza terapeutica: una relazione che cura
L’alleanza terapeutica: una relazione che cura

La psicoterapia secondo l’ottica sistemico relazionale

Con “psicoterapia” si intende un percorso tramite il quale, mediante l’aiuto di un professionista specializzato, si cerca di trovare un migliore e più funzionale benessere psicologico. Il principale strumento di lavoro in una psicoterapia è la relazione terapeutica, ovvero la relazione che si stabilisce tra lo psicoterapeuta ed il paziente e a partire dalla quale si individuano le motivazioni che hanno portato a chiedere aiuto. Attraverso l’utilizzo di domande preliminari, il professionista è fin dall’inizio in grado di raccogliere più informazioni possibili sulla storia di vita della persona, di sintonizzarsi sui suoi vissuti emotivi e di coglierne gli aspetti più significativi.
Una volta conclusa la fase iniziale, terapeuta e paziente concordano insieme gli obiettivi e definiscono un piano di lavoro condiviso esplicitando anche gli aspetti pratici degli incontri (durata, frequenza, continuità).
All’interno della stanza di terapia, lo psicoterapeuta accoglie, ascolta e guida il paziente verso un nuovo equilibrio e nel farlo mette in campo aspetti che non riguardano solo le competenze professionali, ma anche il suo vissuto personale per riuscire a stimolare nel paziente riflessioni utili, nuove possibilità e punti di vista.
È chiaro, quindi, che il lavoro terapeutico si fondi principalmente sulla comunicazione, sul linguaggio verbale e sul rapporto di fiducia reciproco tra paziente e terapeuta.
Non va dimenticato, però, che la comunicazione si crea anche a partire dal linguaggio del corpo, ad un livello “implicito” nel quale anche il tono, la frequenza, il ritmo della voce ed il silenzio assumono significato. Inoltre, il contatto visivo è una forma potente di trasmissione di emozioni, di richieste relazionali, di attenzione verso l’altro e di empatia.
Da come si guarda e come si è guardati si può capire molto relativamente a ciò che l’altro pensa, vive e sente circa sé stesso, l’altro, ciò che sta raccontando e l’andamento della terapia. Un altro elemento fondamentale è la prossemica, ovverossia lo studio della vicinanza fisica e del contatto fisico tra i protagonisti della terapia, che nel caso di terapie familiari e di coppia, fornisce informazioni circa i sentimenti, il rapporto di fiducia e di potere che intercorrono tra i membri.
Nell’ambito della psicoterapia sistemico-relazionale, l’individuo viene concepito come immerso nel contesto relazionale, sociale e culturale di cui fa parte. In tale ottica, l’intervento primario di tale psicoterapia è quello riguardante l’intero contesto relazionale di riferimento e quindi, in primo luogo, la famiglia. Oltre alla terapia familiare, seguendo l’orientamento sistemico-relazionale, possono essere portate avanti terapie di coppia, di gruppo ed individuali.
Il terapeuta sistemico-relazionale opera, quindi, osservando l’individuo non come un’entità isolata, ma come parte di un sistema di relazioni, quali la famiglia, la coppia, il gruppo di lavoro o la comunità. L’approccio sistemico – relazionale si basa sull’idea che i problemi psicologici o i disturbi comportamentali siano il risultato di disfunzioni o squilibri all’interno del sistema di relazioni in cui l’individuo è inserito. I sistemi relazionali tendono a resistere al cambiamento per mantenere l’equilibrio esistente, anche quando quest’ultimo si rivela essere disfunzionale.
Il terapeuta si concentra su come le interazioni tra i membri del sistema contribuiscano ai problemi presentati e lavora con i pazienti per identificare e modificare i modelli di interazione disfunzionali. Per fare ciò utilizza una varietà di tecniche, ad esempio li guida nell’esprimere in modo funzionale i propri bisogni, sentimenti e aspettative; nel ristrutturare le relazioni modificando i ruoli rigidi o i confini inappropriati; nello sviluppare la comprensione reciproca e l’empatia. Affinché si possa creare una relazione solida basata sulla fiducia e scambio emotivo lo psicologo deve mettersi in gioco con ogni paziente non solo sul piano professionale e teorico (quindi facendo riferimento agli strumenti acquisiti durante la formazione) ma anche come persona, facendo ricorso alla sua storia, i suoi vissuti e le sue emozioni, che l’incontro con i vissuti dei pazienti può riattivare. La risonanza è l’emozione che emerge nel terapeuta in base ad aspetti di somiglianza o lontananza con i vissuti del paziente, ed ha un ruolo centrale nell’andamento della terapia, infatti, se non si riesce a gestire il sentirsi simili o troppo lontani dal paziente, si corre il rischio di non entrare in sintonia con la persona che sta chiedendo aiuto. Rispetto a ciò, Whitaker sosteneva che il terapeuta deve entrare profondamente dentro il paziente e la famiglia, divenendone parte, ma, allo stesso tempo, restarne fuori per non esserne troppo invischiato, rischiando di compromettere le sue capacità di valutazione e giudizio. Spetta al terapeuta, quindi, il valutare ed usare le sue emozioni come guida per una buona relazione e come aiuto per il paziente nell’acquisizione di nuove modalità comunicative ed espressive.

Il terapeuta nella stanza

Per riuscire ad essere realmente presente nella stanza è necessario che il terapeuta abbia una sorta di osservatore interno che sia in grado di attuare una integrazione tra le diverse esperienze emotive e i suoi schemi concettuali, per trovare nuovi nessi e nuove relazioni, traducendo ciò in informazioni significative nel rapporto con l’altro (Andolfi, 2000).
Nel costruire il rapporto con l’altro, il terapeuta deve gradualmente creare una relazione che “cura” e che possa facilitare l’emergere di nuovi percorsi evolutivi. Dato che la relazione tra paziente e terapeuta è centrale per la riuscita del percorso terapeutico, viene da chiedersi quali siano le caratteristiche di un buon terapeuta.
Andolfi (2000) sottolinea l’importanza di un clima affettivo che possa facilitare il sentirsi accolti senza alcuna forma di giudizio e che questo possa essere agevolato da alcuni aspetti non verbali della comunicazione del terapeuta, come il tono, il calore della voce e la gestualità. Il Sé del terapeuta, inoltre, è stato oggetto di importanti riflessioni di molti teorici sistemici, ad esempio Boscolo (1996) che nella sua opera “Terapia Individuale sistemica” afferma che tutto ciò che il terapeuta ha di non risolto dentro di sé, il non detto, risulta comunque connesso al livello cosciente e quindi inevitabilmente ha un impatto sul modo in cui il Sé sta in relazione con il paziente.
Per diventare un professionista affidabile, in grado di accogliere i differenti vissuti, accantonando il giudizio, e di aiutare il singolo o la famiglia a perseguire i propri obiettivi di sviluppo, è fondamentale il lavoro che il terapeuta svolge in gruppo durante gli anni di formazione.
Quest’ultimo gli consente di aumentare la consapevolezza, mettere da parte i pregiudizi, ridurre l’influenza che può avere il proprio vissuto sulla relazione con il paziente e di sottoporre ad analisi le emozioni e le modalità portate nella stanza di terapia.
Nonostante sia necessario che il terapeuta non si faccia influenzare dal proprio vissuto, la sua personale risonanza e il suo mondo interiore risultano essere indispensabili per la riuscita del processo terapeutico, garantendogli di immergersi nel flusso delle emozioni all’interno della relazione col paziente.
La condivisione di parti del proprio Sé è stata definita “Self-disclosure”, ossia svelamento del Sé, e può avere effetti positivi su una relazione fondata su autenticità e spontaneità. La terapia, infatti, dovrebbe divenire un luogo dedito alla preservazione della fiducia reciproca, in cui il terapeuta possa sentirsi libero di fornire, quando necessario, informazioni attinenti al proprio Sé. La potenza evocativa dell’atto dello svelamento, da parte del terapeuta, consente la genesi di uno spazio intersoggettivo che non resti ancorato, esclusivamente, al contesto della cura (Loriedo, 2009).
Per fare ciò, è necessario che il terapeuta abbia non solo una solida preparazione clinica, ma anche una buona conoscenza di sé e una spiccata capacità autoriflessiva che gli permettano di valutare l’occasione giusta per svelare aspetti profondi della propria vita privata e professionale a fini terapeutici, senza che ciò sia legato a una forma di narcisismo personale.

L’alleanza terapeutica e la creazione di un terzo pianeta

La relazione che intercorre tra paziente e terapeuta è stata, nel corso del tempo, definita alleanza terapeutica (Zetzel, 1956). Diverse ricerche sull’alleanza terapeutica hanno confermato il suo ruolo significativo sull’esito della terapia, sottolineando l’importanza di stabilire e mantenere l’alleanza fin dall’inizio del trattamento.
Dunque, l’alleanza terapeutica viene a configurarsi come un elemento fondamentale in psicoterapia in quanto fornisce il contesto emotivo e relazionale in cui il processo terapeutico può avere luogo in modo efficace (Mancini, 2003).

Nel contesto della terapia sistemico-relazionale, si ritiene da sempre cruciale comprendere le posizioni assunte dai terapeuti e dai pazienti all’interno dei sistemi. In questo contesto, si attua un’integrazione tra posizionamento e consapevolezza emotiva, che definiamo come situarsi, il situarsi del terapeuta.
Il situarsi è l’equivalente di una istantanea in fotografia. Una posizione emotiva catturata sulla mappa (su una delle possibili mappe) di una situazione esistenziale. Il terapeuta usa la propria capacità di situarsi per aiutare i pazienti a situarsi a loro volta nei sistemi significativi della loro vita. Acquisita la capacità di situarsi, la persona potrà poi fotografarsi in diverse istantanee, che gli permetteranno di orientarsi entro un processo fluido e in continuo divenire, dandogli un miglior senso delle sue possibilità e scelte” (Lini, Bertrando, 2018).

Attraverso questa prospettiva, il terapeuta può acquisire una migliore comprensione dei dilemmi e delle difficoltà che emergono nella vita dei pazienti, fornendo così uno strumento aggiuntivo per guidare la propria pratica clinica. (Lini, Bertrando, 2018).

Come sappiamo, il terapeuta è un osservatore del sistema e, anche la sua presenza, modifica il sistema osservato: allo stesso tempo, il terapeuta raccoglie informazioni sul paziente e la sua famiglia, situandosi all’interno di un movimento dinamico tra il singolo, l’individuo e la famiglia come un tutto, oscillando tra passato e presente (Andolfi, 2015).
Andolfi (2015), sottolinea come il concetto di alleanza cambi, in merito al fatto che ci si trovi di fronte ad un individuo o ad un gruppo, cioè la famiglia. Con il singolo, infatti si viene a creare un’alleanza che coinvolge solo due persone, paziente e terapeuta, invece, con la famiglia, lo strutturarsi di un’alleanza terapeutica risulta più complesso: la famiglia è un sistema e quindi creare alleanza vuol dire anche trasformare competizione e disaccordo in collaborazione e fiducia dei membri. Per fare ciò è necessario che il terapeuta non si schieri con una parte della famiglia, o meglio, non sia oggetto di una triangolazione, ma che riesca a creare un legame equilibrato con ogni componente del sistema familiare. In questo modo, il terapeuta diventa un ponte tra i membri, in grado di muoversi dentro e fuori le interazioni, coinvolgendo movimenti e configurazioni familiari all’interno di più generazioni.
Andolfi (2015) menziona a tal proposito la metafora del terzo pianeta (Andolfi, Angelo, 1984), in merito alla costruzione di una nuova storia con la famiglia attraverso uno spazio aperto dove la famiglia e il terapeuta possano incontrarsi ed esplorare nuovi significati relazionali per eventi passati e problemi attuali, condividendo un’esperienza reciproca di crescita che inneschi un cambiamento. Ovviamente, la presenza di un terzo pianeta ne presuppone la presenza di due ulteriori: il pianeta del terapeuta ed il pianeta dell’intera famiglia. Tali pianeti orbitano con una modalità simile all’andamento della Luna verso la Terra ed, in tal senso, esistono attimi in cui vi è maggiore o minore vicinanza. L’incontro tra le due narrazioni permette di creare un ponte di significati, in costante mutamento, su cui diviene possibile seminare un terreno neutrale e senza alcun giudizio.
Il terapeuta diventerà, contemporaneamente, tanto un collante quanto un catalizzatore di spontaneità e significati, in quanto permetterà alla famiglia, non solo di sviluppare nuovi linguaggi (e scrivere nuove storie) ma di aumentare il livello di consapevolezza e di comprensione delle dinamiche familiari. In tal senso, l’obiettivo principale della terapia diviene la possibilità di poter rivivere eventi significativi e attribuirvi un nuovo significato, un vero e proprio abbraccio al cambiamento. È qui che l’incontro tra le parti avverrà sulla base di un influenzamento e di un investimento emotivo reciproco che porterà un arricchimento per entrambe le parti (famiglia e terapeuta) in un ambiente scandito da fiducia e comprensione.
La famiglia, in conclusione, dopo aver esplorato e ridisegnato le catene dei propri legami, presenterà le potenzialità per divenire un “porto sicuro” per i propri componenti, accompagnandoli nelle loro sfide e accogliendoli nei momenti di difficoltà, divenendo una vera risorsa.

BIBLIOGRAFIA

Andolfi M., Angelo C., Tempo e mito nella terapia familiare, Boringhieri, Torino, 1987.
Andolfi M. (a cura di), La crisi di coppia, Raffaello Cortina, Milano, 1999.
Andolfi, M. (2015). In La terapia familiare multigenerazionale, pp. 149-154. Raffaello Cortina Editore. Milano.
Andolfi M. (2015). La terapia familiare multigenerazionale, pp. 109-111. Raffaello Cortina Editore. Milano.
Andolfi M. ( 2021). Il dono della verità – Il percorso interiore del terapeuta. pp. 57,58 Raffaello Cortina Editore.
Boscolo, L., & Bertrando, P. (1996). Terapia individuale sistemica. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Lini, C., & Bertrando, P. (2018). Situarsi: posizionamento ed emozioni in terapia sistemica. Terapia Familiare, (2018/117).
Loriedo, C. (2000). La relazione terapeutica: terreno comune dei diversi orientamenti psicoterapeutici. PSICOTERAPIA, PSICOTERAPIE, (2000/0).
Loriedo, C., & Grasso, M. (2009). La costruzione dell’alleanza terapeutica e la self-disclosure del terapeuta. In Dimensioni cliniche e modelli teorici della relazione terapeutica (Vol. 1143, pp. 13-34). Franco Angeli.
Mancini, G. (2003). L’alleanza terapeutica come custode della psicoterapia.
Meissner, W. W. (1992). The concept of the therapeutic alliance. Journal of the American Psychoanalytic Association, 40(4), 1059-1087.
Togliatti, M. M., & Cotugno, A. (1998). Scrittori e psicoterapia: la creatività della relazione terapeutica (Vol. 10). Meltemi Editore srl.
Zetzel, E. R. (1956). An approach to the relation between concept and content in psychoanalytic theory: With special reference to the work of Melanie Klein and her followers. The Psychoanalytic Study of the Child, 11(1), 99-121.
Zetzel, E., Meissner, F. (1978). Psichiatria psicoanalitica, Boringhieri.

SITOGRAFIA

Cosa significa fare… ed essere terapeuta! – GuidaPsicologi.it

Le Emozioni ed il Sé del Terapeuta – Psicolab

Psicoterapia: che cos’è e come funziona il percorso psicoterapico?

Cos’è la Psicoterapia e come funziona | Santagostino Psiche

https://www.psicologionline.net/articoli-psicologia/articoli-psicologia-dintorni/1591-la-terapiafamiliare

https://iris.uniroma1.it/handle/11573/170252

https://www.jessicazecchini.it/

https://www.stateofmind.it/psicoterapia-sistemico-relazionale/

Risonanze del Terapeuta: emozioni in circolo | Studio Psicologia Roma

 

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